
L’amianto nelle centrali ENEL rappresenta un caso emblematico di negligenza industriale e mancata tutela della salute dei lavoratori. Le conseguenze sanitarie, legali ed economiche di questa esposizione si fanno sentire ancora oggi, con numerosi casi di malattie asbesto-correlate e lunghe battaglie legali per il riconoscimento dei diritti delle vittime.
Solo attraverso una maggiore consapevolezza, un impegno concreto nelle bonifiche e un rafforzamento delle misure preventive sarà possibile evitare che tragedie simili si ripetano in futuro.
Le centrali elettriche dell’ENEL rappresentano un elemento fondamentale del sistema energetico italiano, poiché garantiscono la produzione e la distribuzione dell’energia necessaria al funzionamento del paese. In Italia, esistono diverse tipologie di centrali che sfruttano sia fonti energetiche tradizionali che rinnovabili, contribuendo in maniera significativa al mix energetico nazionale.
Le centrali termoelettriche, ad esempio, generano energia attraverso la combustione di combustibili fossili come gas naturale, carbone e olio combustibile. Storicamente, queste centrali hanno rappresentato una quota rilevante della produzione energetica italiana, anche se negli ultimi anni si è assistito a una progressiva riduzione dell’utilizzo del carbone a favore del gas naturale, considerato una fonte meno inquinante.
Tra le principali centrali termoelettriche alimentate a carbone ci sono impianti di grande capacità, situati principalmente in regioni come Sardegna e Lazio. Tuttavia, il governo italiano ha avviato un piano di progressiva dismissione del carbone per ridurre le emissioni di CO₂ e rispettare gli obiettivi di transizione ecologica stabiliti a livello europeo.
Le centrali idroelettriche, invece, sfruttano l’energia dell’acqua per generare elettricità. L’Italia ha una lunga tradizione in questo settore e attualmente conta oltre 4.600 impianti idroelettrici, situati principalmente nelle regioni settentrionali, dove la presenza di rilievi montuosi e bacini idrici favorisce questa tipologia di produzione.
La Lombardia è la regione con la maggiore potenza installata, seguita da Trentino-Alto Adige, Piemonte e Veneto. L’energia idroelettrica rappresenta una delle principali fonti rinnovabili del paese e contribuisce in modo significativo alla produzione complessiva, garantendo stabilità alla rete elettrica nazionale.
L’Italia è stata una pioniera nella produzione di energia geotermica, con il primo impianto costruito agli inizi del XX secolo a Larderello, in Toscana. Ancora oggi, la Toscana è la regione italiana con la maggiore concentrazione di centrali geotermoelettriche, che sfruttano il calore naturale della Terra per generare elettricità in modo continuo e sostenibile.
Questo tipo di energia presenta il vantaggio di essere rinnovabile e disponibile in modo costante, senza dipendere dalle condizioni climatiche, come accade per l’eolico e il fotovoltaico. Nonostante ciò, negli ultimi anni, l’Italia ha investito molto anche nei due settori appena citati. I parchi eolici sono diffusi soprattutto nelle regioni meridionali e nelle isole, dove le condizioni atmosferiche sono particolarmente favorevoli.
Il settore fotovoltaico ha registrato una crescita significativa, con impianti di grande capacità situati in diverse regioni del paese. Questi impianti sfruttano l’abbondante irraggiamento solare di molte aree italiane per produrre energia in modo sostenibile.
La gestione delle centrali elettriche in Italia è affidata a diverse aziende, sia pubbliche che private. Il principale operatore è Enel, che controlla una quota significativa della capacità installata nazionale e gestisce impianti di varia tipologia, dalle centrali termoelettriche a gas alle rinnovabili.
Altri operatori rilevanti includono Edison, A2A, Eni e utility regionali come Iren in Piemonte e Acea nel Lazio. Oltre a queste grandi aziende, esistono numerosi piccoli produttori che gestiscono impianti di energia rinnovabile su scala ridotta.
La sicurezza delle centrali elettriche è fondamentale per garantire un approvvigionamento stabile di energia. Gli impianti sono sottoposti a controlli regolari e a interventi di manutenzione preventiva per prevenire guasti e malfunzionamenti.
Le sale di controllo monitorano costantemente i parametri operativi delle centrali, assicurando interventi tempestivi in caso di necessità. Inoltre, le centrali sono progettate per resistere a eventi estremi, garantendo elevati standard di sicurezza.
Nel corso del XX secolo, le centrali elettriche gestite da ENEL hanno fatto largo uso dell’amianto per la coibentazione di turbine, caldaie, condotte e altri impianti industriali. L’amianto era utilizzato per le sue proprietà isolanti e ignifughe, in grado di proteggere le strutture e i macchinari dalle alte temperature e dal rischio di incendi.
Tra le centrali più coinvolte in questa problematica troviamo la centrale ENEL del Marzocco, situata nei pressi del porto industriale di Livorno. Costruita negli anni ’60 e operativa fino al 2015, questa struttura ha impiegato centinaia di lavoratori, molti dei quali esposti per decenni alle fibre di amianto senza adeguati dispositivi di protezione.
Le condizioni di lavoro nelle centrali contaminate da amianto erano spesso precarie. Molti operai, addetti alla manutenzione delle turbine e degli impianti, lavoravano quotidianamente in ambienti saturi di polveri tossiche, con scarsa ventilazione e senza mascherine protettive. Testimonianze di ex lavoratori e documenti processuali hanno evidenziato come l’amianto si sgretolasse facilmente, disperdendosi nell’aria e aumentando il rischio di esposizione.
Il rischio sanitario derivante dall’amianto si manifesta spesso a distanza di decenni dall’esposizione. Il mesotelioma pleurico, ad esempio, ha un periodo di latenza che può variare dai 20 ai 40 anni, rendendo difficile diagnosticare tempestivamente la malattia e intervenire con trattamenti efficaci.
Secondo i dati del Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM), il settore della produzione e distribuzione di energia elettrica è uno dei più colpiti dall’esposizione all’amianto, con oltre 367 casi censiti. Tuttavia, gli esperti ritengono che il numero reale di vittime sia molto più alto, considerando che molti ex lavoratori non hanno ricevuto una diagnosi formale o non hanno avuto accesso a controlli sanitari adeguati.
Uno dei casi più emblematici riguarda un operaio della provincia di Lucca, deceduto nel 2016 a causa di un mesotelioma pleurico dopo oltre vent’anni di servizio nelle centrali ENEL. L’uomo aveva lavorato come manutentore elettrico, esponendosi quotidianamente alle fibre di amianto senza protezioni. Dopo anni di battaglie legali, la giustizia ha riconosciuto la responsabilità dell’azienda, condannando ENEL a risarcire la famiglia della vittima con oltre un milione di euro.
ENEL, come molte altre aziende coinvolte in casi di esposizione all’amianto, ha cercato di minimizzare le proprie responsabilità, negando spesso il legame tra le malattie dei lavoratori e l’ambiente di lavoro. Tuttavia, le sentenze giudiziarie hanno dimostrato il contrario, stabilendo che l’azienda avrebbe dovuto adottare misure preventive per proteggere i propri dipendenti.
La Corte d’Appello di Firenze ha ribadito che il rischio amianto fosse noto e prevedibile e che ENEL non avrebbe potuto ignorarne la pericolosità. La condanna ha rappresentato un importante precedente giuridico, aprendo la strada a numerose altre cause intentate da ex lavoratori e familiari delle vittime.
Oltre agli aspetti giuridici, il problema dell’amianto solleva importanti questioni sociali ed economiche. Le cure per le malattie asbesto-correlate sono estremamente costose e spesso non garantiscono la guarigione, lasciando le famiglie delle vittime in difficoltà economiche e psicologiche. Inoltre, la bonifica degli impianti contaminati richiede ingenti investimenti da parte delle aziende e delle istituzioni pubbliche.
Dopo il divieto ufficiale dell’amianto in Italia, ENEL ha avviato operazioni di bonifica nelle sue centrali più vecchie, con l’obiettivo di rimuovere il materiale pericoloso e garantire la sicurezza dei lavoratori. Tuttavia, il processo di bonifica è spesso lento e complesso, a causa della necessità di adottare procedure specifiche per evitare la dispersione delle fibre nell’ambiente.
Le associazioni per la tutela dei lavoratori, come l’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), continuano a monitorare la situazione e a denunciare i ritardi nelle operazioni di bonifica, chiedendo un’accelerazione degli interventi e un maggiore impegno nella tutela della salute pubblica.