Gas Radon: quanto è pericoloso rispetto all’amianto?

Il radon è un gas nobile radioattivo, naturale, incolore, inodore e insapore. È generato dal decadimento dell’uranio e del torio presenti nella crosta terrestre e, proprio per la sua origine geologica e per la sua tendenza a migrare attraverso suoli e materiali porosi, può accumularsi negli ambienti chiusi fino a raggiungere concentrazioni che comportano un rischio sanitario misurabile.

Negli ultimi decenni, il radon è stato riconosciuto come uno dei principali contaminanti dell’aria indoor e come una causa importante di tumore polmonare nella popolazione generale, secondo solo al fumo di sigaretta. A differenza di altre minacce ambientali, è invisibile e silenziosa, ma misurabile e gestibile con metodologie tecniche consolidate.

 

Che cos’è il radon: origine e isotopi

Il radon (simbolo Rn) è l’elemento n. 86 della tavola periodica, appartenente alla famiglia dei gas nobili. Gli isotopi di interesse ambientale sono principalmente tre:

  • Radon-222, prodotto nel decadimento dell’uranio-238 attraverso la catena dei radioisotopi intermedi; ha un’emivita (tempo di dimezzamento) di circa 3,8 giorni. È l’isotopo più rilevante per la qualità dell’aria indoor: la sua emivita è abbastanza lunga da permettergli di diffondere dal suolo agli edifici e di accumularsi in ambienti poco ventilati;
  • Radon-220, detto thoron, originato dalla catena del torio-232, con emivita di circa 55 secondi. Per la brevità della vita media tende a rappresentare un rischio più locale e vicino alle superfici di emissione (per esempio, da pareti o intonaci contenenti torio);
  • Radon-219, detto actinon, dalla catena dell’attinio-235, con emivita di pochi secondi; in condizioni domestiche tipiche ha un ruolo minore.

Suddetti isotopi si formano continuamente nelle rocce e nei suoli. Poiché il radon è un gas, può sfuggire dai granuli minerali, passare nei pori del terreno e muoversi spinto da gradienti di pressione, umidità e temperatura. Il radon-222 è quello che, per durata della vita e abbondanza del precursore (uranio-238), più spesso raggiunge gli ambienti interni.

 

Proprietà fisiche e chimiche

Il radon è chimicamente inerte: non reagisce facilmente con altri elementi e non si lega stabilmente alle superfici come farebbe un gas reattivo. Dal punto di vista fisico, è più denso dell’aria (a condizioni standard ha una densità circa otto volte maggiore), ma questo non implica che “resti sul pavimento”: la sua distribuzione negli ambienti dipende soprattutto da moti convettivi, ventilazione, differenze di pressione (stack effect), e dalla presenza di vie di ingresso (fessure, giunti, passaggi di impianti). Un aspetto cruciale per la salute non è tanto il gas in sé, quanto i prodotti di decadimento del radon: polonio-218 e polonio-214 (oltre a piombo-214 e bismuto-214), che sono solidi e tendono ad aderire ad aerosol e polveri sospese. Quando vengono inalati, questi radionuclidi emettono particelle alfa che possono danneggiare il DNA delle cellule dell’epitelio bronchiale.

Il radon è moderatamente solubile in acqua: può sciogliersi nelle falde e nelle acque di pozzo. Quando l’acqua viene aerata o riscaldata (per esempio, durante la doccia), una frazione del radon disciolto può trasferirsi nell’aria indoor. Nella maggior parte delle abitazioni con acqua da acquedotto il contributo è trascurabile; diventa tecnicamente interessante in edifici serviti da pozzi privati in aree ad alta emanazione.

 

Dove si trova e come entra negli edifici

La geologia locale è il fattore primario: rocce e suoli con maggiore contenuto di uranio e torio (graniti, tufi, lave, scisti neri e alcuni sedimenti) e con alta permeabilità facilitano la risalita del gas. Tuttavia, differenze significative possono esistere anche su scala molto piccola (metri o decine di metri), per la presenza di fratture, vene mineralizzate o variazioni di umidità e tessitura del terreno.

Le principali vie di ingresso in un edificio sono:

  • Fessure e microfratture nelle platee o nei muri a contatto con il suolo;
  • Guaine, passaggi e attraversamenti di impianti (tubi, cavi, scarichi);
  • Giapponature perimetrali, giunti di dilatazione, pozzetti e canaline;
  • Materiali da costruzione che contengano tracce di radionuclidi naturali (di solito contributo secondario, ma non sempre trascurabile);
  • Acqua di pozzo o serbatoio, se ricca di radon.

Il motore che richiama il gas all’interno è spesso lo sbilancio di pressione tra il suolo (leggermente sovrapressurizzato rispetto all’interno) e gli ambienti interni (in leggera depressione), accentuato dal tiraggio termico: l’aria calda che sale crea una “pompa” che aspira aria dal basso, compreso il radon proveniente dal terreno. Anche il vento, l’uso di cappe e ventilatori, o il funzionamento di sistemi HVAC possono modificare sensibilmente i flussi.

La concentrazione di radon in aria si esprime in Becquerel per metro cubo (Bq/m³), dove 1 Bq corrisponde a un decadimento per secondo. In alcuni documenti, specialmente nord-americani, si usa ancora il picocurie per litro (pCi/L); la conversione più utile da ricordare è 1 pCi/L ≈ 37 Bq/m³.

All’aria aperta, i valori sono tipicamente bassi, spesso dell’ordine di pochi Bq/m³ (circa 10 come valore medio globale). All’interno degli edifici, però, possono verificarsi concentrazioni anche decine o centinaia di volte superiori, a seconda del contesto. Livelli di riferimento adottati da molte linee guida internazionali ricadono nell’intervallo 100–300 Bq/m³, con l’indicazione pratica che, al crescere della concentrazione media annuale, aumenta la priorità di intervento.

 

Effetti sulla salute

Il rischio sanitario è legato soprattutto all’inalazione dei discendenti solidi del radon che emettono particelle alfa ad alta ionizzazione. Queste particelle hanno un potere di penetrazione molto basso (sono fermate da pochi centimetri d’aria o da uno strato sottile di pelle), ma depositano molta energia in un percorso brevissimo, risultando quindi molto dannose quando colpiscono cellule viventi non protette, come quelle dell’epitelio bronchiale.

Le evidenze epidemiologiche provengono da:

  • Studi storici su minatori esposti ad alte concentrazioni, che hanno mostrato un’elevata incidenza di cancro del polmone;
  • Studi caso-controllo e meta-analisi in popolazioni generali, che hanno evidenziato un incremento di rischio anche a concentrazioni residenziali.

Il fumo di sigaretta interagisce con il radon in modo sinergico (spesso approssimato come moltiplicativo): un fumatore esposto a un certo livello di radon ha un rischio assoluto molto maggiore rispetto a un non fumatore alla stessa concentrazione. Questo rende la cessazione del fumo una misura di prevenzione primaria con benefici immediati, anche per chi vive in case con radon elevato.

Il radon è collegato principalmente al tumore del polmone; associazioni con altre patologie sono state talvolta investigate, ma le prove sono sia meno solide sia meno coerenti. La latenza tra esposizione e comparsa del tumore può essere di decenni, come avviene per molti carcinogeni ambientali.

 

Confronto tra radon e amianto

Sia radon sia amianto (asbesto) sono agenti cancerogeni di origine naturale che possono interessare gli ambienti di vita e di lavoro, ma differiscono profondamente per natura fisica, meccanismi di esposizione, patologie associate e strategie di controllo.

  1. Natura e comportamento fisico
    • Il radon è un gas nobile radioattivo. È invisibile, inodore, chimicamente inerte; decade in pochi giorni (Rn-222) generando radionuclidi solidi a breve vita. Si muove facilmente attraverso suolo e fessure, entra negli edifici spinto da differenze di pressione e si accumula in condizioni di scarsa ventilazione;
    • L’amianto è un insieme di minerali fibrosi (crisotilo, crocidolite, amosite, ecc.). Le fibre sono solide, persistenti, e quando vengono aerosolizzate (da materiali friabili, usurati o lavorati) possono rimanere sospese a lungo e depositarsi nei polmoni.
  2. Meccanismi di danno
    • Il radon causa danno principalmente tramite radiazioni alfa emesse dai prodotti di decadimento inalati che si depositano nell’epitelio bronchiale, inducendo mutazioni che possono portare al cancro del polmone;
    • L’amianto agisce tramite azione fisico-chimica delle fibre: infiammazione cronica, stress ossidativo e interferenza con la divisione cellulare. È associato non solo al cancro del polmone, ma anche al mesotelioma pleurico e peritoneale e all’asbestosi (fibrosi polmonare).
  3. Relazione con il fumo
    • Per il radon, il fumo ha un effetto fortemente sinergico sul rischio di tumore polmonare;
    • Con l’amianto, il fumo aumenta il rischio di cancro del polmone in modo marcato, mentre non appare aumentare il rischio di mesotelioma, che è più specificamente legato alla presenza di fibre.
  4. Persistenza e reversibilità
    • Il radon ha emivita breve: se si riduce l’ingresso o si ventila, la concentrazione diminuisce rapidamente. Non “si accumula” nel corpo nel senso classico; il rischio è funzione di concentrazione × tempo;
    • Le fibre di amianto sono persistenti nell’ambiente e nei tessuti: una volta inalate, possono permanere per anni o decenni, generando patologie con lunghissime latenze. Rimuovere il materiale contenente amianto richiede procedure specialistiche per evitare la dispersione di fibre.
  5. Gestione e regolazione
    • Il radon si gestisce con misurazioni e mitigazioni tecniche (depressurizzazione, ventilazione, barriere). Non si può “vietare” il radon perché è un gas naturale che proviene dal suolo, ma si possono adottare standard di progettazione e livelli di riferimento per l’azione;
    • L’amianto è stato vietato o fortemente limitato in molti Paesi per l’uso in nuovi materiali, mentre la bonifica dell’esistente segue norme stringenti. La gestione comporta censimento, valutazione dello stato (friabilità), manutenzione controllata o rimozione con confinamento e smaltimento in sicurezza.

In sintesi, il radon è un rischio dinamico e gestibile con tecniche impiantistiche e costruttive, mentre l’amianto è un rischio materiale legato alla presenza fisica di fibre e richiede procedure di bonifica. Entrambi, tuttavia, richiedono consapevolezza, misurazioni affidabili e interventi proporzionati per ridurre il carico di malattia associato.





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